Il castello di carte costruito da Michael Saylor attorno a Bitcoin (BTC) sta mostrando crepe profonde. MicroStrategy – ridenominata semplicemente "Strategy" in un plateale eccesso di hubris – ha visto evaporare il sessanta per cento della sua capitalizzazione di mercato tra metà luglio e fine novembre, mentre il prezzo di Bitcoin nello stesso periodo è sceso "solo" del venticinque per cento. Il meccanismo che per anni aveva trasformato ogni dollaro investito in BTC in oltre due dollari di valore azionario si è improvvisamente inceppato, costringendo il visionario CEO a prendere in considerazione l'impensabile: vendere parte dei suoi amati bitcoin.
La strategia di Saylor è sempre stata audace quanto controversa. Dal luglio 2020, quando annunciò il primo acquisto di 21.454 BTC a circa 11.650 dollari l'uno, il co-fondatore di MicroStrategy ha trasformato una modesta società di software enterprise in quella che lui stesso definiva "una sorta di ETF su Bitcoin". All'epoca gli investitori istituzionali non potevano accedere direttamente alle criptovalute attraverso fondi tradizionali: la SEC americana non aveva ancora autorizzato nessun exchange-traded fund a detenere bitcoin reali. MicroStrategy divenne così un proxy perfetto per chi voleva esposizione a BTC senza sporcarsi le mani con wallet e chiavi private.
Il meccanismo sottostante rappresentava un caso da manuale di leverage finanziario applicato al mondo crypto. Strategy emetteva azioni privilegiate e obbligazioni convertibili, raccogliendo decine di miliardi di dollari che veniva immediatamente riversati nell'acquisto di bitcoin. L'azienda è arrivata a possedere 447.470 BTC – oltre il tre per cento dell'intera supply di bitcoin esistente – pagati complessivamente circa 27 miliardi di dollari. Questo accumulo massiccio ha contribuito a spingere al rialzo il prezzo della criptovaluta, creando un circolo virtuoso che si autoalimentava: più Strategy comprava, più BTC saliva, più le sue azioni si apprezzavano, più capitale poteva raccogliere per comprare ancora bitcoin.
Questo premio irrazionale non poteva certo essere giustificato dalle attività software originarie dell'azienda, ormai relegate a business secondario. I supporter di Saylor offrivano due spiegazioni per il fenomeno: la prima, che il prezzo di Bitcoin fosse destinato a raggiungere cifre stratosferiche – lo stesso Saylor prevedeva 13 milioni di dollari per BTC entro il 2045. La seconda, più tecnica, riguardava la presunta capacità della società di offrire agli azionisti ordinari un'"esposizione amplificata" alla criptovaluta attraverso strutture finanziarie complesse. In realtà si trattava semplicemente di leverage: scommettere con soldi altrui per moltiplicare i guadagni, ma anche le perdite.
Gli short seller professionisti come Jim Chanos avevano lanciato l'allarme già da tempo, sostenendo che nessuno dovrebbe pagare più di un dollaro per qualcosa che vale un dollaro. La loro tesi sembrava banale, ma si è rivelata profetica. A fine novembre la capitalizzazione di mercato di Strategy è scesa a 177,18 dollari per azione, e il premio rispetto al valore dei bitcoin detenuti si è quasi azzerato. In alcuni momenti della scorsa settimana, il valore di mercato dell'azienda è persino sceso al di sotto del valore dei suoi asset in BTC, anche considerando il debito accumulato.
La risposta di Strategy alla crisi rivela quanto precaria sia diventata la situazione. L'azienda ha annunciato di aver costituito una "riserva in dollari" da 1,4 miliardi attraverso ulteriori emissioni azionarie, necessaria per garantire i dividendi agli azionisti privilegiati nei prossimi dodici mesi. Ma soprattutto, ha ammesso che potrebbe essere costretta a vendere parte dei suoi bitcoin se il valore continua a scendere – un'eresia per Saylor, che ancora a febbraio 2024 twittava categoricamente "Mai vendere i tuoi Bitcoin". Una simile mossa potrebbe innescare un'ulteriore spirale ribassista sia per BTC che per il titolo stesso.
Il contesto di mercato è radicalmente cambiato rispetto al 2020. BlackRock ha lanciato il suo iShares Bitcoin Trust (IBIT) che detiene ormai circa 775.000 BTC, più di Strategy stessa con i suoi 650.000 coin. Sul mercato sono disponibili oltre una dozzina di ETF su Bitcoin spot, finalmente autorizzati dalla SEC, che offrono esposizione diretta alla criptovaluta senza i rischi legati alla struttura aziendale di Strategy. Anche altre società quotate, dalla mining company MARA Holdings fino a Trump Media & Technology Group, hanno accumulato significative posizioni in bitcoin, erodendo ulteriormente il vantaggio competitivo di Saylor.
Il timing non potrebbe essere peggiore per Strategy, che ora rischia l'esclusione dall'MSCI Index. Secondo gli analisti di JPMorgan, questa rimozione potrebbe causare deflussi di capitali per miliardi di dollari, aggravando la pressione sul titolo. L'unica speranza a breve termine viene paradossalmente dalla Federal Reserve: se Jerome Powell procederà con i tagli ai tassi d'interesse attesi, potrebbe iniettare nuova liquidità nel sistema finanziario. Storicamente esiste una correlazione tra l'espansione monetaria della Fed e i rally di bitcoin, quindi i crypto bros potrebbero beneficiare involontariamente delle politiche antirecessione della banca centrale americana.
Anche uno scenario ottimista, tuttavia, difficilmente permetterà a Strategy di replicare i successi del passato. Il mercato che Saylor aveva individuato nel 2020 – quello degli investitori tradizionali senza accesso diretto a BTC – è ormai saturo. La regolamentazione europea con il MiCA e quella americana si stanno evolvendo rapidamente, normalizzando l'accesso istituzionale alle criptovalute. La tesi degli scettici si è dimostrata corretta: la "macchina del denaro infinito" era solo un miraggio alimentato da condizioni di mercato irripetibili e da un premio di valutazione insostenibile. Per Saylor resta la consolazione di detenere un patrimonio personale stimato attorno ai dieci miliardi di dollari, ma la sua reputazione di "Alchimista di Bitcoin" appare oggi considerevolmente appannata.