Il gigante della messaggistica Telegram si trova in acque agitate mentre tenta di stabilizzare la propria posizione finanziaria attraverso un'offerta di obbligazioni da 1,5 miliardi di dollari. Al centro dell'attenzione mediatica è finito anche un presunto accordo da 300 milioni di dollari con xAI, la società di intelligenza artificiale di Elon Musk, annunciato prematuramente dal fondatore di Telegram Pavel Durov e successivamente messo in discussione dallo stesso Musk, generando confusione tra investitori e utenti.
La corsa ai finanziamenti di Telegram
Le difficoltà finanziarie di Telegram sembrano aver spinto l'azienda verso un'ambiziosa operazione di rifinanziamento del debito. Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, la piattaforma di messaggistica sta cercando di collocare obbligazioni quinquennali per 1,5 miliardi di dollari con un rendimento del 9%, un tasso significativamente alto che riflette il profilo di rischio percepito dagli investitori.
L'operazione vede la partecipazione di colossi finanziari del calibro di BlackRock, il fondo sovrano di Abu Dhabi Mubadala (entrambi già detentori di obbligazioni Telegram) e il nuovo investitore Citadel. Un elemento interessante dell'offerta è la possibilità di convertire il debito in azioni a sconto nel caso in cui Telegram decidesse di quotarsi in borsa, offrendo così un potenziale vantaggio agli investitori.
I proventi di questa operazione serviranno principalmente a riacquistare il debito residuo delle obbligazioni emesse nel 2021 con scadenza marzo 2026, di cui Telegram ha già riacquistato una parte utilizzando 400 milioni di dollari di liquidità.
Il giallo dell'accordo con xAI di Elon Musk
Ad aggiungere ulteriore complessità alla situazione finanziaria di Telegram è stato l'annuncio, poi ridimensionato, di una partnership con xAI. Il 28 maggio, Durov ha pubblicato su X (ex Twitter) che entro l'estate 2025 gli utenti Telegram avrebbero avuto accesso a Grox, il chatbot generativo di xAI, definito come "la migliore tecnologia di IA sul mercato". L'accordo, secondo quanto dichiarato inizialmente, avrebbe previsto un pagamento di 300 milioni di dollari in contanti e azioni a Telegram, oltre a una ripartizione al 50% dei ricavi generati dagli abbonamenti xAI venduti sulla piattaforma.
La situazione ha preso una piega inaspettata quando, poche ore dopo, Elon Musk è intervenuto nei commenti del post rivelando che nessun documento era stato ancora firmato. Durov ha confermato questa versione, precisando che l'accordo era stato raggiunto "in linea di principio" ma che le formalità erano ancora in sospeso. Questa retromarcia ha sollevato dubbi sulla trasparenza comunicativa di Telegram in un momento così delicato per le sue finanze.
Ripercussioni sul mondo delle criptovalute
Gli sviluppi attorno a Telegram hanno avuto effetti significativi anche nel settore delle criptovalute, in particolare su Toncoin (TON), la criptovaluta legata a The Open Network, progetto originariamente fondato dal team di Telegram prima di diventare indipendente. Il valore di TON ha registrato un'impennata del 23% (da 2,98$ a 3,69$) dopo l'annuncio di Durov, per poi subire un crollo dell'11% (a 3,27$) in seguito alla smentita parziale di Musk.
Questo episodio evidenzia la volatilità del mercato delle criptovalute e come esso sia facilmente influenzabile da dichiarazioni e smentite di figure di spicco del settore tecnologico, un fenomeno che gli investitori italiani conoscono bene dopo anni di montagne russe nel mondo degli asset digitali.
Le sfide di un gigante della comunicazione digitale
La situazione di Telegram riflette le difficoltà che anche le piattaforme di messaggistica più popolari affrontano nel monetizzare efficacemente i propri servizi. Con oltre 900 milioni di utenti attivi mensili, Telegram si trova a dover bilanciare la propria filosofia di privacy e gratuità con la necessità di generare entrate sufficienti a sostenere l'infrastruttura e lo sviluppo.
Per il pubblico italiano, abituato a utilizzare quotidianamente app di messaggistica come WhatsApp e lo stesso Telegram, questi sviluppi sollevano interrogativi sulla sostenibilità a lungo termine di servizi apparentemente gratuiti ma che richiedono enormi investimenti per funzionare. La vicenda ricorda per certi versi le difficoltà affrontate in passato da altre piattaforme popolari in Italia, come Skype o MSN Messenger, che hanno dovuto evolversi o cedere il passo a nuovi concorrenti.