Il mercato dell'oro sta attraversando una fase straordinaria, con quotazioni che hanno toccato i 4.000 dollari l'oncia, il miglior risultato dai tempi della crisi degli anni Settanta. Tuttavia, secondo Ken Griffin, amministratore delegato del colosso finanziario Citadel, questo traguardo storico potrebbe nascondere segnali preoccupanti per l'economia globale e per il ruolo del dollaro americano. Il fenomeno va ben oltre la semplice corsa a un bene rifugio tradizionale e rivela una trasformazione profonda nella percezione degli investitori internazionali.
La preoccupazione principale espressa da Griffin riguarda il cambiamento nel modo in cui gli investitori globali considerano le diverse asset class. In un'intervista rilasciata questa settimana a Bloomberg, il celebre gestore di hedge fund ha sottolineato come il metallo giallo stia gradualmente sostituendo il dollaro nel suo ruolo storico di rifugio sicuro per i capitali. "Ora vedo l'oro come un asset rifugio nel modo in cui un tempo veniva visto il dollaro. È questo che davvero mi preoccupa", ha dichiarato Griffin.
Il fenomeno dell'inflazione degli asset al di fuori del dollaro rappresenta una tendenza significativa. Griffin ha evidenziato come gli investitori internazionali continuino a voler investire nelle aziende americane, ma contemporaneamente sentano la necessità di proteggersi dall'esposizione alla valuta statunitense attraverso operazioni di copertura. Questa strategia, nota come hedging, prevede che i rendimenti degli investimenti in asset denominati in dollari vengano convertiti e protetti nella valuta locale dell'investitore.
La riflessione si estende anche ad altri asset alternativi al dollaro, come le criptovalute, che secondo Griffin hanno registrato un'apprezzamento "incredibile". L'oro attualmente registra un rialzo del 49% dall'inizio dell'anno, una performance che surclassa nettamente il guadagno del 14% dell'indice S&P 500 nello stesso periodo. Con quotazioni intorno ai 3.994 dollari l'oncia martedì scorso, il metallo prezioso continua a battere record su record.
Il manager di Citadel ha individuato diversi elementi di rischio nell'attuale scenario economico americano. In primo luogo, ha puntato il dito contro la situazione del debito pubblico statunitense, definendo entrambi i partiti politici colpevoli di una "spesa sconsiderata". Come ha spiegato Griffin, quando si discute con esperti di mercato delle principali preoccupazioni riguardanti l'economia americana, la situazione fiscale emerge quasi sempre in cima alla lista.
Un altro fattore critico riguarda le politiche di deregolamentazione dell'amministrazione Trump, che secondo Griffin hanno contribuito a liberare gli "spiriti animali" dei mercati. Il riferimento è all'espressione coniata dall'economista John Maynard Keynes per descrivere l'eccessivo ottimismo e l'istinto speculativo degli investitori. Il livello di stimoli fiscali e monetari attualmente in circolazione negli Stati Uniti sarebbe paragonabile a quello tipicamente impiegato per uscire da una recessione, nonostante il Paese abbia appena concluso diversi anni di crescita sostenuta.
"Siamo decisamente in una fase di euforia artificiosa nell'economia statunitense in questo momento", ha commentato Griffin. La metafora del "sugar high" utilizzata dal finanziere richiama l'effetto temporaneo e potenzialmente pericoloso di un eccesso di zuccheri, suggerendo che l'attuale espansione economica potrebbe non essere sostenibile nel lungo periodo.
La questione dell'inflazione rappresenta un ulteriore motivo di allarme. Griffin ha definito profondamente inflazionistico l'insieme delle politiche adottate dalla nuova amministrazione in materia di immigrazione, fiscalità e politica monetaria. Secondo la sua analisi, i mercati stanno sottovalutando pericolosamente il rischio di un'impennata significativa dei prezzi al consumo, con la possibilità concreta che l'inflazione torni ad accelerare nel corso del 2026.
Il contesto di queste dichiarazioni riporta alla mente le tensioni di mercato emerse all'inizio dell'anno, quando l'imposizione dei dazi da parte del presidente Trump aveva scatenato un'ondata di vendite ribattezzata "Sell America trade". In quel periodo, gli investitori temevano che gli Stati Uniti stessero perdendo il loro status di destinazione privilegiata per i capitali globali. Sebbene la maggior parte degli analisti di Wall Street concordi sul fatto che quelle preoccupazioni fossero esagerate e che la situazione si sia in gran parte normalizzata dopo l'attenuazione dei dazi e la firma di accordi commerciali, i segnali di fondo identificati da Griffin suggeriscono che il problema potrebbe essere più strutturale che congiunturale.
L'incertezza economica, la debolezza del dollaro e le preoccupazioni inflazionistiche continuano a spingere gli investitori verso asset tradizionalmente considerati sicuri. Tuttavia, la particolare intensità di questo movimento e il cambiamento qualitativo nella percezione del ruolo del dollaro potrebbero indicare una trasformazione più profonda nell'architettura finanziaria globale, con implicazioni significative per l'economia mondiale nei prossimi anni.