Il mondo crypto e tech si è schierato compatto a difesa di David Sacks dopo che il New York Times ha pubblicato un'inchiesta sui suoi massicci conflitti d'interesse. L'investitore, nominato da Trump "zar dell'intelligenza artificiale e delle criptovalute", detiene oltre 430 partecipazioni in società del settore che dovrebbe regolamentare. La vicenda solleva interrogativi cruciali sulla governance delle tecnologie emergenti negli Stati Uniti e sul rapporto sempre più ambiguo tra regolatori e mercato crypto, in un momento in cui l'amministrazione Trump sta cercando di definire il quadro normativo per il settore blockchain e l'AI.
Secondo l'inchiesta del Times, Sacks avrebbe garantito ad alcuni founder e venture capitalist un accesso senza precedenti alla Casa Bianca, sfruttando la sua posizione per favorire potenzialmente le sue numerose partecipazioni in portafoglio. Una dinamica che ricorda da vicino le polemiche sulla "porta girevole" tra regolatori e industria crypto che hanno caratterizzato precedenti amministrazioni, ma con una scala e una sfacciataggine inedite.
La reazione della Silicon Valley è stata immediata e orchestrata. Marc Andreessen, cofondatore di Andreessen Horowitz (a16z), uno dei più grandi fondi crypto al mondo, ha paragonato Sacks ai "cittadini più capaci del settore privato che si offrivano volontariamente per il servizio governativo" durante i momenti di pericolo per la nazione. Una narrazione che dipinge l'investitore come un patriota disinteressato, ignorando completamente le centinaia di milioni di dollari che potrebbe guadagnare da politiche favorevoli al settore crypto e AI.
Marc Benioff, CEO di Salesforce e proprietario di Time Magazine, ha definito il reportage del Times "quasi sabotaggio strategico", sostenendo che "l'America vince il secolo elevando i costruttori, non abbattendoli". Anche Sam Altman di OpenAI si è unito al coro dei difensori, affermando di essere "grato" per la presenza di Sacks al governo. La convergenza di questi messaggi suggerisce un coordinamento tra i principali attori del settore, molti dei quali hanno investimenti sovrapponibili a quelli di Sacks.
Il punto centrale dell'inchiesta, tuttavia, rimane inevaso da tutte queste difese: Sacks sta letteralmente dettando politiche per settori in cui è massicciamente investito. Nel mondo crypto, questo equivale a mettere il fondatore di un exchange centralizzato a capo della regolamentazione sui CEX, o un whale di Bitcoin a definire le norme fiscali sulle criptovalute. La risposta implicita della Silicon Valley sembra essere semplicemente "e allora?"
Jason Calacanis, uno dei co-conduttori del podcast "All-In" insieme a Sacks, ha addirittura suggerito di comprare azioni del New York Times per "unirsi al consiglio". Chamath Palihapitiya, altro membro del gruppo e noto per i suoi falliti SPAC, ha definito il Times la "Private Equity Wife dei giornali". Questi attacchi personali e le minacce velate rivelano quanto sia alta la posta in gioco per l'industria crypto e tech in questo momento critico.
La questione assume una rilevanza particolare per il settore delle criptovalute. Con Sacks in posizione di influenzare la regolamentazione crypto statunitense mentre detiene partecipazioni significative in progetti blockchain e piattaforme DeFi, ogni decisione politica potrebbe avere un impatto diretto sul suo patrimonio personale. Questo crea un incentivo perverso: favorire normative permissive che gonfino le valutazioni delle sue holdings, a prescindere dalla tutela degli investitori retail o della stabilità del mercato.
Dan Primack di Axios ha cercato di minimizzare l'inchiesta definendola un "nothingburger", sostenendo che si tratta di "cose che la maggior parte di noi già sapeva". L'argomentazione secondo cui sarebbe "quasi impossibile essere un venture capitalist attivo e non avere investimenti impattati dalla politica sull'AI" ignora volutamente una soluzione ovvia: semplicemente non nominare un venture capitalist in quel ruolo.
La vicenda Sacks rappresenta anche un punto di frattura interno al movimento MAGA. Da una parte ci sono i tech bros ricchi e pro-corporativi che hanno finanziato la campagna di Trump, dall'altra i populisti guidati da Steve Bannon che definiscono questa élite "fuori controllo". Questo scontro ha già prodotto tensioni su temi come i file di Epstein e i tentativi di impedire agli stati di regolamentare l'AI autonomamente.
Il test decisivo arriverà questa settimana con il National Defense Authorization Act, che potrebbe includere una norma per bloccare le leggi statali sull'intelligenza artificiale. Se questa disposizione passasse, rappresenterebbe una vittoria significativa per Sacks e per tutti gli investitori crypto e tech che preferiscono un vuoto normativo federale piuttosto che un patchwork di regole statali potenzialmente più stringenti. Per il settore blockchain, questo precedente potrebbe aprire la strada a una deregolamentazione simile, con conseguenze ancora tutte da verificare per la protezione degli investitori e l'integrità del mercato.
La difesa a oltranza di Sacks da parte dell'establishment della Silicon Valley rivela quanto profondamente interconnessi siano diventati gli interessi finanziari privati e la governance tecnologica pubblica. In un settore come quello crypto, dove la decentralizzazione e la resistenza alla cattura regolatoria sono valori fondanti, questo matrimonio tra potere politico e portafogli di investimento rappresenta un'ironia amara e un rischio sistemico concreto.