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Le sfide dei miner di Bitcoin verso il 2026

Tempo di lettura 5 min
Lorenzo Bianchi
Di Lorenzo Bianchi
Le sfide dei miner di Bitcoin verso il 2026

Il settore del mining di Bitcoin (BTC) sta affrontando una fase di trasformazione profonda che va ben oltre le dinamiche tradizionali legate agli halving o ai cicli di aggiornamento hardware. Secondo Matthew Case, analista indipendente specializzato nell'economia del mining, le vere minacce per i miner nel 2026 emergeranno da tre fronti interconnessi: i contratti energetici, i sistemi firmware e gli accordi di hosting. Questi elementi strutturali potrebbero ridefinire il controllo dell'hash rate globale e determinare quali operatori sopravvivranno alla crescente competizione per l'accesso all'energia a basso costo. Mentre l'industria si prepara al prossimo halving del 2028, i colli di bottiglia operativi si stanno spostando dal livello hardware a quello contrattuale e software, creando vulnerabilità inedite che potrebbero sfuggire ai radar dei miner più concentrati sulle metriche tradizionali.

La competizione per l'elettricità a basso costo rappresenta probabilmente il rischio più immediato. Storicamente, dal lancio della rete Bitcoin nel 2009, i miner hanno potuto contare su tariffe inferiori a 0,03 dollari per kilowattora, fondamentali per mantenere margini operativi sostenibili. Oggi però questi siti privilegiati stanno attirando l'interesse degli operatori di data center focalizzati sull'intelligenza artificiale, che possono permettersi di pagare di più per la stessa energia. L'Energy Information Administration statunitense ha proiettato un aumento dei prezzi dell'elettricità all'ingrosso fino a circa 51 dollari per megawattora nel 2026, con un incremento dell'8,5% rispetto ai livelli attuali.

Case ha evidenziato un punto critico spesso sottovalutato: la concentrazione dei mining pool. Un'analisi del 2025 condotta dallo sviluppatore Bitcoin "b10c" ha rivelato che solo sei pool controllano oltre il 95% dei blocchi prodotti sulla rete. Questi operatori hanno il potere di decidere quali transazioni includere o escludere dai blocchi minati, creando un potenziale vettore di censura. Finora la resistenza alla censura di Bitcoin è rimasta intatta perché questi pool non hanno mostrato segni di collusione, ma la struttura stessa del mercato crea una vulnerabilità sistemica che non dipende dal protocollo ma dalla governance off-chain.

Solo sei mining pool controllano oltre il 95% dei blocchi Bitcoin, creando un potenziale collo di bottiglia per la censura delle transazioni

Il controllo attraverso firmware e software rappresenta un'altra frontiera di rischio. Case ha spiegato che finanziatori, fornitori di firmware e provider di hosting potrebbero influenzare le operazioni di mining attraverso contratti o software di gestione, ridistribuendo l'hash power senza che i miner effettuino modifiche dirette. Questo significa che pressioni regolatorie o commerciali potrebbero colpire gli strati software piuttosto che il protocollo stesso, imponendo KYC (Know Your Customer), blocchi dei pagamenti o censura dei template di blocco senza necessità di divieti normativi espliciti. Si tratta di un'evoluzione significativa rispetto ai tradizionali tentativi di regolamentazione, che storicamente si sono concentrati sugli exchange o sui nodi della rete.

L'accesso fisico alle facility sta diventando sempre più problematico. Anche i miner con accordi di hosting da cinquanta megawatt potrebbero trovarsi spiazzati se altri operatori offrono tariffe superiori o se i termini contrattuali vengono modificati. Case ha avvertito che i miner che presumono di avere accesso indefinito a energia gratuita o economica potrebbero svegliarsi nel 2026 con contratti di hosting congelati o clausole di rinnovo incomprensibili. La sicurezza contrattuale, storicamente considerata una questione secondaria rispetto all'efficienza dell'hardware, sta emergendo come fattore determinante per la sopravvivenza operativa.

Jesse Colzani, partner di BlocksBridge, una società di ricerca e consulenza sul mining, ha offerto una prospettiva più equilibrata pur riconoscendo la validità delle preoccupazioni. Colzani ha sottolineato che i mining pool non rappresentano colli di bottiglia permanenti, poiché gli operatori cambiano frequentemente pool in risposta a modifiche nei termini di pagamento o problemi operativi. Eventi passati hanno dimostrato che l'hash rate può spostarsi rapidamente quando le condizioni cambiano, mostrando una flessibilità di mercato che mitiga parzialmente il rischio di concentrazione.

Sul fronte della competizione energetica con l'AI, Colzani ha evidenziato che i miner mantengono vantaggi competitivi specifici. Possono operare in aree con generazione elettrica isolata, connessioni fibra limitate e problemi regolamentari che rendono queste location poco attraenti per i grandi operatori tech. I miner di Bitcoin sono inoltre gli unici operatori disposti ad assorbire prezzi negativi dell'energia, interrompere le operazioni su comando e stabilizzare le reti alimentate da rinnovabili, funzioni che i data center AI non possono replicare. Secondo questa analisi, i miner continueranno a vincere accordi energetici che l'intelligenza artificiale non può gestire.

Colzani ha inoltre contestualizzato i rischi nell'evoluzione storica del settore. L'hash rate ha raggiunto massimi storici anche quando le commissioni di transazione erano basse, dimostrando che il mercato si è già adattato alla riduzione dei sussidi da block reward. La sicurezza a lungo termine di Bitcoin dipende da hash price, costi energetici, cicli di investimento in capitale e partecipazione globale, non solo dalle ricompense per blocco. Ha aggiunto che rischi come disastri naturali e problemi assicurativi sono normali per qualsiasi industria e non rappresentano vulnerabilità specifiche del mining crypto.

La prospettiva europea e italiana sul tema merita un'analisi specifica. Con l'implementazione del regolamento MiCA (Markets in Crypto-Assets) e l'attenzione crescente della Consob verso le attività crypto, i miner operanti nell'Unione Europea potrebbero trovarsi esposti a pressioni regolatorie aggiuntive rispetto ai competitor in giurisdizioni più permissive. La tendenza europea verso standard ESG più stringenti potrebbe inoltre accelerare l'esodo dei miner verso regioni con normative ambientali meno rigide, riducendo ulteriormente la distribuzione geografica dell'hash rate.

Guardando al futuro, l'industria del mining Bitcoin si trova di fronte a un bivio strategico. I miner che costruiranno partnership energetiche solide, manterranno accesso behind-the-meter all'elettricità e svilupperanno modelli di offtake flessibili avranno maggiori probabilità di prosperare anche in un contesto di competizione con l'AI. Al contrario, gli operatori che continuano a basare le proprie strategie esclusivamente sull'efficienza hardware potrebbero scoprire che il campo di battaglia si è spostato altrove. La decentralizzazione dell'hash rate, principio fondamentale per la sicurezza di Bitcoin, dipenderà sempre più dalla capacità dell'industria di resistere a pressioni che operano al di fuori del protocollo stesso, nei contratti, nei software e nelle stanze dei consigli di amministrazione dove si decidono gli accordi energetici del futuro.

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