Il settore del mining di Bitcoin sta vivendo una metamorfosi epocale che sta ridefinendo completamente il suo ruolo nell'economia digitale. L'accordo da 9,7 miliardi di dollari siglato tra Microsoft e IREN, ex operatore australiano di mining crypto ora specializzato in data center per l'intelligenza artificiale, rappresenta la conferma definitiva di un trend che sta trasformando l'intera industria: i miner stanno abbandonando i picconi digitali per abbracciare l'AI. Questo pivot strategico non è una semplice diversificazione, ma una risposta strutturale alle pressioni economiche che hanno reso il mining tradizionale sempre meno redditizio, tra margini compressi dalla competizione feroce e l'impatto dell'halving che dimezza periodicamente le ricompense. I numeri di mercato parlano chiaro: chi ha compiuto questa transizione ha visto il proprio titolo schizzare fino al 580% da inizio anno.
L'intesa quinquennale trasforma IREN, precedentemente nota come Iris Energy, nel più grande fornitore di capacità computazionale per il colosso di Redmond. Il cosiddetto "operatore neocloud" metterà a disposizione di Microsoft l'accesso ai chip Nvidia presso la sua facility di Childress, Texas. Kent Draper, chief commercial officer di IREN, non ha nascosto l'entusiasmo definendo l'accordo "davvero trasformativo" e capace di catapultare l'azienda "nell'élite dei neocloud". Il mercato ha risposto immediatamente con un balzo del 10% del titolo nel giorno dell'annuncio.
La strategia di IREN non si limita a Microsoft: parallelamente, l'azienda ha siglato una partnership con Dell da 5,8 miliardi di dollari per l'acquisto di processori e infrastrutture correlate. Questa doppia manovra consolida definitivamente il passaggio dal proof-of-work al cloud computing ad alte prestazioni. Come ha spiegato Draper, "abbiamo costruito data center di altissima qualità storicamente sovradimensionati per le esigenze del mining di Bitcoin, ma avevamo sempre l'idea che ci sarebbero stati altri use case come l'AI".
Il fenomeno non riguarda solo IREN. Gli analisti di Bernstein, guidati da Gautam Chhugani, hanno documentato come praticamente ogni miner quotato negli Stati Uniti abbia virato verso l'ottimizzazione del valore dei propri asset energetici piuttosto che massimizzare l'esposizione a Bitcoin (BTC). Riot (RIOT), TeraWulf (WULF) e Cipher Miner (CIFR) hanno tutti reindirizzato le risorse verso infrastrutture HPC e intelligenza artificiale, con risultati stellari: rispettivamente +100%, +160% e +360% nel 2025.
Le ragioni economiche dietro questa migrazione di massa sono cristalline. Il mercato del mining è diventato saturo, con la competizione che ha eroso sistematicamente i margini operativi. La volatilità del prezzo di Bitcoin complica ulteriormente la pianificazione finanziaria a lungo termine. Ma il colpo più duro arriva dall'halving quadriennale: questo meccanismo deflazionistico intrinseco al protocollo Bitcoin dimezza le ricompense per blocco minato, riducendo progressivamente i ricavi nel tempo. L'ultimo halving ha intensificato queste pressioni, spingendo molti operatori a riconsiderare radicalmente il proprio modello di business.
L'industria dell'intelligenza artificiale ha bisogno disperato di infrastrutture energetiche e computazionali, esattamente ciò che i miner possiedono già: terreni attrezzati, connessioni alla rete elettrica ad alta capacità e edifici progettati per dissipare enormi quantità di calore. Come sottolineato da Bernstein, i miner forniscono "gusci energizzati caldi" per data center AI, colmando quello che è considerato il principale collo di bottiglia nell'implementazione dell'intelligenza artificiale. IREN aveva già annunciato all'inizio del 2025 che avrebbe interrotto l'espansione delle operazioni di mining per concentrarsi sul cloud AI e sui data center.
Questa riconversione industriale solleva interrogativi strategici per l'ecosistema crypto. Se le risorse computazionali migrano verso l'AI, potrebbe emergere una pressione al ribasso sull'hashrate complessivo della rete Bitcoin, potenzialmente influenzando la sicurezza e la decentralizzazione del network. Tuttavia, gli operatori che rimangono fedeli al mining potrebbero beneficiare di una competizione ridotta e di margini eventualmente più ampi. Il settore sta assistendo a una selezione naturale: sopravvivranno i miner con accesso privilegiato a energia a basso costo o quelli abbastanza flessibili da pivotare verso modelli ibridi che bilanciano mining e servizi cloud secondo le dinamiche di mercato.